FIRENZE. L’ispirazione al racconto numero 37 della raccolta dei fratelli Grimm è particolarmente libera, ma l’atmosfera fiabesca è comunque assicurata, già dalla scenografia; un bosco azzurro dove spadroneggia una gigantessa (Silvia Guidi), che si prende cura di raccontare al pubblico del Teatro Le Laudi, di Firenze, questa rilettura de Il bosco di Pollicino, che vede protagonisti i rozzi coniugi contadini che, ignorando la pratica dell’aborto, mettono al mondo sette figli, senza avere i mezzi per come farli crescere dignitosamente. E in preda alla disperazione, decidono di sperderli, pratica triviale adottata ai giorni nostri in particolare con i cani, abbandonati per non sapere come fare per conciliarli con le vacanze. La tentazione di aprire una parentesi, che rischia di essere lunghissima, sulla patente che andrebbe meritata e consegnata a chi vuol diventare padre e madre, è altissima. Ma visto e considerato che conoscete benissimo il nostro pensiero sui danni irreparabili costituiti da questa democrazia, torniamo a Teatro e ci concentriamo, con un pizzico di rammarico per un nuovo comizio sfumato, sulla rappresentazione (si replica oggi, domenica 6 aprile, alle 16), una produzione del Teatro Le Laudi, in collaborazione con Silvia Guidi (che è anche la regista) e Alessio Riccio (che è il musicista che ha offerto il suo sound originale) e che si avvale di Sabina Cesaroni che funge da pagina 777 di Televideo, un particolare della Rai che consente ai non udenti di sentire attraverso le didascalie che scorrono a piè di teleschermo e che la performer traduce in generose ed esaustive gestualità, un inno meraviglioso ai prodigiosi linguaggi del corpo. Ma è uno spettacolo per bambini? Sì, e perché no; se ce ne fossero stati di più, rispetto all’unico marmocchio accompagnato dai genitori, sarebbe stato più bello. Ma siccome siamo stati tutti, bambini e tutti, i più fortunati, intendiamo, quelli che avranno la possibilità di invecchiare, torneranno a esserlo, immergersi in una fiaba e capirne le ancestrali paure, i primordiali desideri e goderne con le medesime intatte sensazioni tutte le aspettative, è un esercizio che faremmo meglio a fare più frequentemente; ci consentirebbe di capire meglio e di più cosa vorranno i nostri successori e vivremmo forse liberi da tante sovrastrutture, che ci siamo febbrilmente costruiti e che sono utili soltanto a giustificare il nostro stress. Dopo la seconda improvvida deviazione dal succo della serata, torniamo in riga e ci immergiamo, nuovamente, nell’humus dello spettacolo, che non ha perso per un solo istante il suo volere fantastico e non si è allontanato mai, nemmeno di un atomo, dalla traccia leggendaria, come se di realismo e verismo non volesse nemmeno sentirne l’odore. La gigantessa è restata immobile sul suo trono, sfogliando con affaticata leggerezza il libro della storia, il libro della vita. Sotto lo scranno, i paggi della fiaba, corpuscoli illuminati, imponenti costruzioni di cartapesta, guidati dall’essere più prossimo alla realtà, la fatina simultanea, quella che spiega ai bambini (che non c’erano) cosa mai stia dicendo la sua superiora e perché, nonostante si profili un disastro, debbano e possano stare tranquilli. Quello che infatti erano riusciti a fare i sassolini bianchi, non seppero invece le briciole di pane, incautamente divorate dagli uccelli del bosco. Ma l’acume, la scaltrezza e la saggezza di Pollicino riusciranno nell’intento e le sue magie, guadagnate calzando stivali fantastici, daranno a lui e alla sua famiglia, compresi i due genitori che avrebbero meritato ben altre tribolazioni, tutto il bene e la fortuna che ogni essere della Terra ambisce a possedere, proprio come quei bambini che, prima del tramonto, popolavano piazza Savonarola, a due passi dal Teatro.