FIRENZE. Ringraziamo pubblicamente, a nome di tutti gli spettatori teatrali, Emanuele Aldrovandi, reo confesso, dunque, indifendibile, d’aver scritto e portato in scena una delle cose più belle viste a Teatro - nell’occasione il Cantiere Florida di Firenze – in questi ultimi anni. Una miscela, esemplare, di Teatro classico, impreziosito dai portamenti, dalla gestualità, dalle voci, dai corpi, dai sorrisi e dalla tragedia in divenire che prende angosciosamente corpo con il trascorrere della rappresentazione fino al tragico, elementare, epilogo. Una rappresentazione maiuscola, che ruota attorno a una scenografia semplicemente monumentale e faticosa: quattro enormi pareti semovibili rappresentante, ognuna, una scheda di un’arnia, nella quale Giusto Cucchiarini, apicoltore felice della propria modesta specificità, fa vivere con cura e in salute e le sue api, che ricambiano l’affetto e le attenzioni con montagne di miele. È lui che decide di accogliere, nella propria abitazione, Serena De Siena, amica d’infanzia alla quale non ha mai confidato il suo desiderio di poter essere qualcosa di più di un semplice amico; ha sposato un altro uomo, lei e ha una figlia, Emma, di soli sei anni, ma il padre, un giorno, è uscito per andare a comprare le sigarette, senza più rincasare. Il giorno del compleanno della bambina sarà l’occasione d’oro per il riscatto; tra i pochi invitati ci dovrebbe essere, anzi, ci sarà, per forza di cose, anche una sua amichetta coetanea non vedente, figlia di un’attrice (Silvia Valsesia), che oltre alla professionalità guadagnata studiando forsennatamente nelle accademie di recitazione, ha fatto leva, per la sua notorietà, sulla sua difficile e tortuosa maternità, postando video con la sua piccola sfortunata per sponsorizzare cause femminili, umane e planetarie. La terza complice del progetto di Come diventare ricchi e famosi da un momento all’altro, prodotto dall’Associazione Teatrale Autori Vivi, Teatro Stabile di Torino - Teatro Nazionale, ERT Emilia Romagna Teatro - Teatro Nazionale, sarebbe dovuta essere la sorella della mamma della festeggiata, che causa un’improvvisa colica gastrointestinale che l’ha costretta a letto – al bagno, in verità, ma si dice a letto per diplomazia – ha mandato a far numero e breccia per la causa della nipote il marito (Tomas Leardini), un Epifanio con una logica che si scoprirà molto più concreta di quello che l’aspetto lasci presagire e che gioca a scacchi, anzi, lavora a scacchi, visto che è arrivato quinto ai campionati mondiali e terzo a quelli europei. Lo stratagemma è quello di lanciare nell’orbita della ricchezza e della notorietà la piccola Emma, che fa dei bei disegni, anzi, quadri, come tiene a sottolineare sua madre, la vera artefice dello scrupoloso marchingegno architettato il giorno del compleanno della figlia: mettere all’asta i disegni, pardon, i quadri, della bambina per devolvere l’intero ricavato ad un’Associazione che tutela la salute degli Oceani. Ma per farlo, occorre un nome altisonante, uno sponsor d’eccellenza e la mamma dell’amichetta della figlia, navigata attrice, è quanto di meglio si possa chiedere. Ci siamo dilungati sin troppo sulla trama, ma è inevitabilmente funzionale all’esaltazione della scrittura, che scorre a velocità supersonica non dando materialmente il tempo di assorbire tutti i potenti uppercut che il testo sferra, a destra e a manca, indistintamente. Lo fa contro la frustrazione della madre, che anela che alla figlia, la vita, riservi qualcosa di meglio e di più interessante di quello che ha lasciato in dote a lei e di cui se ne disfarebbe molto volentieri; non risparmia l’attrice, che rivendica i suoi duri e faticosi trascorsi nelle scuole di recitazione, ma al momento giusto anche lei ha trasformato la croce della figlia non vedente in un’enorme opportunità e non esenta nemmeno il modesto apicoltore dagli strali delle colpevolezze. L’unico intruso, il cognato, è quello che stravolge i piani organizzativi, ma è proprio grazie alla sua maldestra, naturale e innocente dabbenaggine che la situazione, che pare essere sul punto di caracollare rovinosamente tra le pieghe di un pomeriggio di un giorno da cani, prende un inaspettato sussulto. Quella che sembra essere, già dal titolo, un’accusa feroce verso la generazione dei genitori che confondono la felicità dei propri figli con il successo, che dovrebbe poi ammortizzare, con gli interessi, le sconfitte dei genitori, si attenua altalenando i giudizi sul tutto per tutto o se convenga lasciar che credano ancora alle favole. La risposta, tombale, dopo novanta minuti di teatro esemplare, con i quattro punti cardinali dell’esistenza ampiamente rappresentati, lasciata su una lettera scritta da Emma la sera del primo giorno delle scuole elementari, non ammette dubbi, ma solo se si ha chiaro quale sia il prezzo della felicità.