PISTOIA. Il giornalismo sportivo più evoluto ricorda, con indimenticabile piacere, alcuni cronisti che hanno finito, con la loro cromatica, imprevedibile, struggente professionale passione, per trasformare il racconto di un evento agonistico in un’ode alla bellezza. Il calcio, come gioco di squadra, si addice, più di ogni altra competizione, a questa trasfusione emotiva e nel calcio, la leggenda, in modo antonomastico, se la sono sempre disegnata - e così hanno imposto di tratteggiarla ai loro più sottili osservatori -, i numeri dieci; anzi: i numeri 10. È a Osvaldo Soriano, giornalista argentino prematuramente morto ventotto anni fa a Buenos Aires, e alla sua meravigliosa idea di raccontare il calcio, trasformandolo in poesia, che si ispirano Peppe Servillo e Cristiano Califano, rispettivamente cronista e musicista, per portare in scena Futbol, che è proprio l’idea e la concezione del calcio secondo l’angolazione, spirituale ed epica, del cronista argentino. Quando si parla di Argentina e di numeri dieci, anzi, di numeri 10, non occorre scomodare il vocabolo futbool – è automatico – e serve ancor meno fare dei cognomi – basta il nome – Diego. Ma Soriano, nei suoi racconti, che Servillo e Califano hanno (ri)letto, interpretato e musicato al Teatro Rifredi di Firenze, non si è banalmente concentrato sull’aurea dinastia della maglia che spesso vale il prezzo del biglietto allo stadio, ma ha voluto sondare storie minori, ma non per questo meno leggendarie, di portieri, allenatori, arbitri, i coprotagonisti, accanto ai numeri dieci, anzi, ai numeri 10, delle partite di calcio. Non occorre conoscerli – e conoscere le loro traiettorie agonistiche – per lasciarsi trasportare, con la dovuta leggerezza, lungo le bisettrici della memoria, della nostalgia, di improbabili o mancati campioni. Anche il giornalismo, probabilmente, come l’arte tutta, per esprimersi nella sua forma più elevata, ha bisogno di dolore, sofferenza, difficoltà. Osvaldo Soriano, nella sua vita, è dovuto scappare dalla sanguinaria dittatura del proprio Paese e rifugiarsi, come eccellente nomade, in Europa, dove ha avuto la fortuna di imbattersi in nobili e alternativi colleghi come lui, come quelli che trovò, in Italia, nella redazione de il Manifesto, quotidiano che gli regalò, come estremo saluto, la pagina 12 il giorno del suo funerale. Il lavoro del diaframma, dell’espressività fisica e facciale, del lento, inesorabile sviluppo di storie, più o meno credibili, al pubblico del teatro fiorentino, con tanti papà e figli al seguito (il calcio ha effetti mirabolanti a qualsiasi latitudine) l’ha offerta la spugnosa e mimica creatività di Peppe Servillo (casertano), frontman degli Avion Travel, che si è potuto avvalere, nella sua micro estrazione dei venticinque racconti, della classica musicalità di Cristiano Califano (avellinese), musicista sottile e prezioso; un sodalizio, non solo teatrale, praticamente perfetto, sulla falsa riga di quei racconti naufraghi annoverati dal calcio di province sperdute, di amori incompresi e interrotti, di sogni e speranze, di vittorie memorabili e sconfitte troppo cocenti, che sono risultati – e non cesseranno mai di esserlo - indispensabili perché nelle notti tempestose i piccoli possano riuscire a trovare il modo per come addormentarsi senza avere paura del giorno che verrà.