di Beatrice Beneforti

FIRENZE. Ieri sera sono andata Villa Romana, a Firenze, a vedere questo film sul Festival FAME di Grottaglie (Ta) e devo dire che c’era un pubblico variegato. Era tutto pieno, intanto, e poi c’era anche il regista, nonché protagonista, del film, Angelo Milano. FAME FESTIVAL a Grottaglie è stata una cosa pazzesca. Angelo, sedicente mammone, dopo essersi laureato a Bologna, è tornato subito a Grottaglie ed è partito, con i suoi colleghi a spaccare roba in giro per la città. Prima distruggevano porte, pianoforti e strade in città, poi, quando le cose hanno iniziato a prendere una brutta piega, si sono ritirati in campagna per un po’. Angelo diceva nel film, e anche durante la discussione post-film, di farlo esclusivamente per soddisfare il suo bisogno di divertimento e ha iniziato a chiamare artisti da tutto il mondo per pittare, dipingere, decorare un muro a caso del territorio di Grottaglie e, soprattutto, per creare performance che legassero la collettività all’arte. L’intenzione ufficiale era quella di creare una sensazione di tensione e del confronto attivo con i grottagliesi. All’inizio, infatti, ci è riuscito, anche troppo: poliziotti che li cacciavano, Comune che cancellava le opere con i soldi pubblici, grottagliesi che non capivano. Se ne sono andati in un monastero abbandonato in campagna per aspettare il momento giusto per tornare a creare del panico in città: quel momento è arrivato presto e hanno fondato FAME FESTIVAL.

Ogni anno arrivavano galleristi, curatori e artisti da tutto il mondo e i paesani iniziavano a voler bene ai protagonisti del festival arrivando a vedere FAME come una tradizione paesana. Tutto molto bello per durare troppo: finalmente soldi, finalmente consenso della comunità e finalmente fama. FAME, quindi, è morto. Ora non starò qui a fare la recensione del documentario perché: uno non ne sono capace e due, va visto in prima persona, ma posso raccontarvi, da artista, quello che ho condiviso con lui, ieri. Premessa: la questione soldi è l’unica che alla fine ci interessa e menomale ne abbiamo parlato apertamente ieri, senza tanti giri di parole. Alla domanda del pubblico, ma ora che fai? L’autore ha risposto che si è chiuso con altri in una galleria a fare soldi e questo ci ha tranquillizzati, forse. Sono seguite altre domande più o meno interessanti e da cui è venuto fuori che il vero problema è l’incapacità di accettare che le cose belle finiscano. Angelo lo ha detto più volte: Signori, il festival diventava noioso e si rischiava il finale felice. Non esistono finali felici ma parentesi divertenti. Non aveva più senso continuare a dipingere per la città perché ormai i grottagliesi e le istituzioni erano pacatamente dalla nostra parte. Non c’era più, quindi, un confronto attivo. Potevamo pittare una scuola o distruggere un muro, per loro andavamo bene lo stesso e quindi, capite bene, che non aveva più senso. No, il pubblico appassionato di ieri sera non lo capiva. Alcuni volevano un altro FAME, volevano spiegazioni, volevano dirgli come avrebbe dovuto montare il film, volevano, soprattutto, che Angelo lasciasse un messaggio positivo. Io sono rimasta stranamente in silenzio. Lo guardavo, Angelo, che stava nascosto, con il suo pessimismo mascherato da euforia, nella penombra dell’unico faretto giallo del giardino e in quel dibattito c’è stata la svolta: affrontare il tema del restare nel proprio paese, con genitori come collaboratori e amici eterogenei, solo perché ci va, era necessario. Io, da artista, spero emergente, di provincia, dove in campagna sono più produttiva di quanto lo sia stata a New York, mi sono sentita meno sola. Forse tutta l’esperienza di Angelo e del festival era legata alla noia che queste città danno e alla pura tensione di voler comunicare qualcosa, senza aggrapparsi all’estetica di tanti discorsoni dell’arte contemporanea. L’arte di fare arte senza far parte del sistema dell’arte. Comunque, vedetelo perché è divertente e tragico e io non so mettere troppi pensieri in fila e Angelo è stato artisticamente un genio prima, durante e lo è anche ora, dopo FAME.

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