I GRANELLI di memoria scendono, a ritmi regolari, da un’ampolla a quella sottostante. Ma restano in perfetto ordine e anche capovolgendola, la clessidra che li conserva, il risultato non cambia: tutto torna al suo posto, con straziante dolorosa precisione. L’abbiamo letto famelicamente Madre ti ho aspettato a lungo (edizioni Caracal, 14 euro), ansiosi di arrivare, in uno dei 20 capitoli del volume che battezza l’esordio letterario di Anna Adler, al point breack (anche ripensando al capolavoro cinematografico di Kathryn Bigelow, del 1991), alla resa dei conti. Niente da fare. Tutto quel dolore, cieco, immotivato, sprezzante, destabilizzante, invece, che avrebbe mandato al tappeto un qualsiasi altro nerboruto pachiderma capace di sopportare le più indicibili angherie, tra l’altro sofferte sistematicamente con chirurgica precisione e a sadici, regolari, intervalli di tempo, non è esploso e quella bambina allora vestita da maschietto, che è diventata una donna elegantemente vestita da femmina, ha deciso di raccontarlo.

Lo ha fatto senza alcuna pretesa bibliografica - inanellando con puntualità i passaggi più emblematici della sua vita, che in alcuni frangenti sembrano davvero essere usciti da una notte di incubi -, ma con un’eleganza meravigliosa, alla quale la casa editrice ha creduto fortemente, quella che non darà più pace, probabilmente, a chi, nel tempo, alla piccola e indifesa Anna, ha solo fatto tanto male. I genitori sono morti (lo si legge nel quarto di copertina, non vi sveliamo nulla), così come sorte analoga potrebbe essere già toccata a quelle torbide figure che si sono vigliaccamente e indecentemente aggirate attorno alla sua indifesa esistenza negli anni più cari e delicati della sua adolescenza. Ha aspettato che il tempo cancellasse le denunce e le indignazioni, Anna Adler, non certo il dolore e, con la due figlie ormai grandi e alle quali ha saputo regalare amore e pace, nonostante non li abbia mai ricevuti, ha deciso di raccogliere la memoria e ordinarla, con tassonomica sequenza. È nato, come sfogo inarrestabile, ma metabolizzato dalla galanteria del tempo, che ha saputo farla risorgere e diventare un’altra, non quello che gli altri hanno provato a fare, manipolandola, Madre ti ho aspettato a lungo, un racconto che ricorda, con tutti i benefici d’inventario, le favolose storie di Macondo. Tratteggia, l’autrice, con la stessa identica precisione e con la medesima passione, tanto le inenarrabili violenze subite quanto il lento, ma inesorabile e delicato, trascorre del tempo, scandendo le stagioni più decisive della sua infanzia, all’ombra delle fronde degli arbusti dei campi dove ha lavorato, bambina, come un mulo: la solitudine persecutoria, le umiliazioni, i lividi, il sangue, il dolore inconsolabile, i ricoveri ospedalieri, le minacce sentimentali, i ricatti del sesso, l’abbandono della scuola, i soggiorni dalle suore, le gravidanze e gli aborti, una scia di nefasti accadimenti solo parzialmente lenita da qualche sporadico sorriso, che chiunque potrebbe stentare a credere essere veri e non figli di una distorta fantasia horror. Non c’è nulla affidabile alla stravaganza, invece, purtroppo: ogni pagina intrisa di lacrime e dolori è la fotocopia, genuina, ma distaccata, di tutto quello che la protagonista ha sofferto, compresa la sorda, cieca e muta, ma ingiustificabile e ingiustificata, campagna di Frosinone, dove è nata, cresciuta e vive tuttora, Anna Adler, con la forza e l’orgoglio di chi, pur senza un cavaliere che l’ha voluta salvare, è riuscita a liberarsi da una subdola schiavitù che, ribadiamo, pare non appartenere a questa epoca e a questo Paese. Il libro non finisce e non emette sentenze: non ci sono crocifissioni, redenzioni, riscatti e quella madre a lungo aspettata non è ancora arrivata e, con molta probabilità, non arriverà più. L’autrice, a un certo momento, ha solo voluto staccare la spina della memoria, uscire dalla soffocante apnea dei ricordi e provare a ordinare il proprio dolore, cercando di (con)dividerlo con gli spettatori di ieri e i conoscenti di oggi. Prima di diventare quella che finalmente può dire di essere finalmente oggi, però, Anna Adler ha dovuto sopportare ancora altre angherie: saranno, forse, il materiale di un sequel letterario (il libro, intanto, sarà presentato in più siti, proprio in questi giorni); diverranno, probabilmente, argomento di dibattito sociale e civile attorno a un tavolo occupato da buonisti e cattivisti o saranno, ma questo lo ipotizziamo noi, soltanto le confidenze che Anna vorrà riservare a coloro i quali sapranno carezzarle l’anima.

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