di Marta De Sandre

Jonathan Franzen viene spesso definito il miglior scrittore americano vivente. Devo essermi persa i necrologi di Philip Roth e Cormac McCarthy! Quando ho letto Le correzioni un po' ci credevo anch'io alla nascita di un piccolo Roth, ma poi non ha più scritto nulla che mi sembrasse all'altezza. Il ragazzo scrive benino e adoro queste famiglie dai rapporti sempre conflittuali. E’ abilissimo nei salti temporali e nel dare armonia agli intrecci di storie diverse, ma in Purity le storie sono davvero troppe e tutto diventa davvero troppo improbabile.

 

E' vero che sono 640 pagine, riga più riga meno, ma è riuscito a metterci la Ddr con tanto di Stasi e dissidenti, la Bolivia con una specie di Assange, i miliardari americani, le figlie dei miliardari che rinunciano ai soldi, nipoti di miliardari che invece li vorrebbero, padri che non sanno di esserlo, figlie che non conoscono i padri, madri schizofreniche, scrittori paralizzati. Insomma, di tutto. Alla fine tutto torna; tornerebbe molto meglio se i gradi di separazione fossero uno e due, ma siccome sono sei, torna sì, ma molto inverosimilmente. A volte, nella descrizione delle scene di sesso, sembra che Franzen sia posseduto dall'anima cattiva di Danielle Steel; forse non sono nelle sue corde, forse non ha letto sufficientemente i libri di Roth o forse le ha fatte scrivere alla segretaria. Il risultato comunque è penoso. Irritante un commento sarcastico sul gran numero di scrittori di nome Johnatan in circolazione: io ‘sta martellata sui testicoli me la sarei evitata perché, caro Franzen, sia Molto forte, incredibilmente vicino (Jonathan Safran Foer) che A casa del sonno (Johnatan Coe) sono decisamente meglio di Purity. Con questo romanzo puoi vincere giusto sul Gabbiano, di Livingstone, Johnatan Livingstone.

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