Letterato ermetico, Erri De Luca. Le sue parole, lievi, sono puntuali macigni. Lampi che squarciano la notte, quella nella quale abbiamo deciso di voler vivere. Con due eccezioni, nella fattispecie: il re dei camosci e l’assassino di sua madre, protagonisti muti de Il peso della farfalla (Feltrinelli, ovviamente). Entrambi non sono abituati a relazionarsi con il prossimo, ma solo con il mondo che li circonda. La vita ha imposto loro di crescere da soli. E così han fatto. Sono diventati forti. Il primo è il dominatore incontrastato dei branchi di camosci dolomitici: divenne re in un giorno, al suo primo duello. Anche il cacciatore era il primatista assoluto della sua categoria: alpinista, riusciva ad arrivare dove nessun altro dei suoi colleghi, ma nemmeno i bracconieri, osavano pensare. Le loro storie viaggiarono parallele per molti anni: il primo mantenne lo scettro del proprio impero senza nemmeno dover combattere un duello; il cacciatore centrò, al primo colpo, con la sua 300 magnum e la pallottola da undici grammi, oltre trecento camosci. Nessuno come lui, con quella precisione, con quella media.
Li colpiva all’alto della coscia, un punto strategico, che abbatteva all’istante la bestia senza guastarne la pelliccia. La sventrava sul posto, liberandola dalle interiora: poi si caricava sulle spalle l’animale e scendeva a valle, a venderlo: la pelle ai conciatori, la carne ai ristoratori. Cacciatore lo divenne da adulto, però. In gioventù si dette una legge diversa da quella stabilita. Smise di imparare dagli adulti, abolì la pazienza. In montagna saliva cime nuove, in pianura si dava nomi di battaglia. Voleva essere primizia di tempi opposti, dichiarava falsa ogni moneta. Non aveva diritto all’amore, pochi di loro ebbero figli durante gli anni rivoluzionari. Mai più si è visto un accanimento a rovesciare il piatto, in una gioventù. Un piatto sottosopra contiene poco però: ha la base più larga, sta piantato meglio. Somiglia parecchio al cacciatore, l’autore. Che ha iniziato a fare quello che gli riesce meglio alla soglia dei 40 anni: il suo primo libro è del 1989, Non ora, non qui. Prima, ha fatto di tutto: camionista, muratore, magazziniere, operaio in giro per l’Italia e l’Europa, volontario in Africa. Appena diplomato al Classico, è andato a Roma, per unirsi ai compagni di Lotta Continua. Esperienza decisiva, ma interrotta alla vigilia della seconda stagione importante della sinistra extra parlamentare, nel 1976. Ed è questo suo errabondare, fuso e confuso con il colore del suo sangue partenopeo e il mutismo che impongono le vette che adora frequentare, a generare, in De Luca, un mix di straordinaria potenza, un ermetismo sintattico letale, un concentrato di emozioni racchiuso, sistematicamente, in poche sillabe. Un uomo che non frequenta donne dimentica che hanno di superiore la volontà. Un uomo non arriva a volere quanto una donna: si distrae, s’interrompe. Una donna, no. Davanti a lei (la giornalista che tenta di intervistare il cacciatore n.d.r.) si trovava incalzato. Se era un guardiacaccia se la sbrigava. Ma una donna è quel filo di ragno steso in un passaggio, che si attacca ai panni e si fa portare. Gli aveva messo addosso i suoi pensieri e non se li scrollava. Un uomo che non frequenta donne è un uomo senza. Non è un uomo e basta, nient’altro da aggiungere. E’ un uomo senza. Può dimenticarselo, ma quando si ritrova davanti, lo sa di nuovo. All’appuntamento fissato molti anni prima, il camoscio e il cacciatore arriveranno, entrambi, con estrema puntualità. Occorre lasciare il più possibile intatto l’habitat del camoscio e del cacciatore. E quello di Erri De Luca, altrimenti, libri come Il peso della farfalla, non si potrebbero leggere.