di Marta De Sandre
Capita di leggere libri brutti. A volte sappiamo già all'inizio che saranno brutti e ci attira il gusto dell'orrido (ho letto un terzo di un libro di Moccia per cui ne so qualcosa).
A volte restiamo incantati da una quarta di copertina che promette e non mantiene. A volte arrivano inaspettati, come L'amico ritrovato. Perché questo libro generalmente piace a tutti: grandi e piccini. Una lettura breve che tenevo sullo scaffale come un piccolo gioiellino in attesa di quel ritaglio di poche ore da colmare che alla fine non si trova mai. Ho atteso troppo e il gioiellino l'ho regalato alla biblioteca scolastica.
I protagonisti sono adolescenti nella Germania degli anni '30, frequentano la stessa scuola e sono entrambi moderatamente ricchi; uno di razza ariana, l'altro ebreo, piuttosto antipatici (ma l'ebreo un po' meno, ovviamente), colpetto di scena finale e fine del libro. L'autore ha provato anche a dare un seguito a L'amico ritrovato che, di fatto, ora costituisce il primo volume di una trilogia, ma senza grande successo.
Forse il libro è giusto e sono io sbagliata. Forse sono troppo vecchia per apprezzarlo, per sorvolare sull'autocompiacimento dell'autore, per esclamare wow alle minuziose descrizioni di libri, oggettini e bellezze artistiche, per non accorgermi che manca di spessore e abbonda di aristocratici particolari e retorica a poco prezzo.
La storia di questi due ragazzini viziati, riscattata solo dalla morte, non mi ha commossa, né coinvolta.