di Roberto Bartoli

Non c’è cosa più fraintesa della poesia. Si crede che la poesia sia utile, possa servire a stare meglio, a sperare, a credere.

Ma in realtà la poesia è l’attività meno servile e più inutile tra quelle che si realizzano servendo solo a se stessa e al suo obiettivo di tradurre la realtà in linguaggio. Si crede che la poesia sia invenzione o immaginazione. In realtà la poesia non inventa nulla e non immagina ma si limita dire le cose così come effettivamente sono ed è frutto di un fraintendimento di permanenza nell’egoico credere che ciò che si dice sia diverso dalla realtà, Si crede che la poesia parli all’animo degli uomini, susciti dei sentimenti. Ma in realtà la poesia è anzitutto pensiero, visione, modo di guardare le cose e dirle come sono, mentre i moti dell’animo sono soltanto effetti scaturenti dall’emozione che suscita una disvelazione, una conoscenza. Si crede che la poesia possa trasformare l’uomo in meglio. In realtà essa custodisce l’uomo nella sua totalità, nelle sue contraddizioni, nel suo perenne essere tra il bene e il male. Si crede che la poesia sia dolcezza, soavità, accoglienza. In realtà la poesia è infinitamente aspra, tanto più aspra quanto più ha la forza di mostrare ciò che c’è al di là della convenzione; e la poesia non può che respingere, distanziare, allontanare, perché solo chi si presenta senza schermi non può che atterrire davanti alla cruda realtà che essa mostra. Si crede che la poesia abbia contenuti. In realtà la poesia ha solo modalità e mezzi e vive del problema del come, non del cosa. Si crede che la poesia salverà il mondo. In realtà la poesia altro non è che un occhio che non batterà ciglio davanti alla catastrofe.

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