di Sara Pagnini
FIRENZE. Il Florence Dance Festival, giunto alla 36esima edizione con l’infaticabile direzione artistica di Marga Nativo e Keith Ferrone (con il supporto della Fondazione CR Firenze), ha ospitato Stelle di domani, il progetto del Balletto di Venezia guidato da Alessio Carbone (già primo ballerino dell’Opera di Parigi) che porta in scena dodici giovanissimi ballerini internazionali provenienti dalle più prestigiose Accademie di danza del mondo: Opera di Parigi, Scala di Milano, American Ballet Theatre, Princess Grace Academy e Royal Swedish. Il Florence Dance Festival contribuisce certamente ad accrescere il ruolo di Firenze quale città che ambisce a ritrovare un suo ruolo da protagonista anche nelle arti performative. Il luogo dove questi giovanissimi artisti si sono esibiti è suggestivo: il Chiostro Maggiore della Basilica di Santa Maria Novella, con la sua sublime architettura. Il caratteristico palcoscenico circolare montato proprio al centro del meraviglioso porticato ha certamente esercitato un certo fascino sui dodici artisti, ma anche un certo timore. I ballerini sentono forte la presenza del pubblico, seduto molto vicino al palcoscenico; e di loro il pubblico vede tutto, ogni movimento, ogni espressione del viso. Non ci sono filtri, niente sipario, niente quinte, niente scenografia, nessun artifizio. Dodici eccellenze dunque, quattro su tutti. Due provengono forse dalla scuola migliore al mondo, una fucina di talenti, la Princess Grace Academy e hanno danzato insieme Il Corsaro (atto II, coreografia di Marius Petipa). Utako Takeda (ancora deve finire l’ultimo anno in accademia prima di diplomarsi) ha una dolcezza tutta orientale nelle braccia, nel volto, nello sguardo e una solidità granitica nelle gambe; un sorriso garbato in volto come se non stesse facendo niente di complicato; prima di un passo particolarmente difficile prende un respiro un poco più lungo e lo soffia piano dal naso, giusto per dare maggiore ossigeno ai muscoli capaci di equilibri e pirouettes da grande étoile. Hector Jain, che si è già fatto abbondantemente notare al Prix de Lausanne questo inverno e che inizierà la sua carriera a settembre all’Opera di Parigi, è una meraviglia; diciotto anni, di origine statunitense, ha un viso perfetto e riccioli neri che non si scompongono nemmeno quando salta, tanto il suo salto è felpato e morbido quanto alto e potente. Paloma Livellara, argentina, che ha danzato Human, una coinvolgente coreografia di Yannick Lebrun; ballerina morbida, sinuosa e allo stesso tempo estremamente dinamica, con un forte ritmo. Audrey Tovar Dunster che ha danzato Don Quichotte (atto III, coreografia Marius Petipa) con un eccellente partner, Max Barker. Audry mi ha incantata. Un uccellino non ancora uscito dal nido, dato che ha solo sedici anni (la più giovane del gruppo) ed è ancora allieva presso la American Ballet Theater School, con un carisma sorprendente. Audry ha fatto diversi errori soprattutto durante il passo a due, paradossalmente dovuti al suo enorme talento, alla sua esuberante forza e energia che ancora non sa tenere a bada. Ha preso un equilibrio con troppo impeto, ho pensato che non l’avrebbe tenuto; lei ha abbassato un poco la gamba in arabesque, l’ha rialzata, ha spinto in basso il braccio alla seconda per rimettersi in asse, ha mantenuto il sorriso, indurito lo sguardo ed è rimasta lì per il tempo richiesto dalla coreografia, regalando passione e grinta a piene mani. Con mia somma gioia, ho visto andare in scena l’arte che sboccia, l’energia dilagante, l’ingenua sfrontatezza, la forza biologica di chi danza ed ha appena venti anni.