di Simona Priami
PATRICE LECONTE mette in scena Maigret, con uno straordinario Gérard Depardieu e un cast di elevato livello. Il famoso commissario è stato interpretato nella storia da eccellenti attori, con magistrali recitazioni; da Pierre Renoir, Jean Gabin, Bruno Cremer al nostro Gino Cervi. Si tratta un personaggio letterario nato dalla penna di Georges Simenon, caratterizzato da acuta intelligenza ed elevatissimo spessore, impegnato nel cercare di risolvere casi complessi, caratterizzati da intrighi inimmaginabili e da personaggi dalla psicologia profonda, ma sempre ben analizzata. Come tutti i romanzi di Georges Simenon, siamo davanti a un caso umano a cui il commissario si sente particolarmente vicino e l’interpretazione di Depardieu non solo ci sta perfettamente, ma non è da meno delle precedenti. Il film è tratto dal romanzo Maigret e la ragazza morta e la scena si apre con il celeberrimo commissario in visita dal medico, che lo trova stanco, affaticato e demotivato; ha lavorato tanto, ha dato tanto, comincia a essere vecchio, proprio come lo stesso Depardieu e deve essere privato, per motivi di salute, ironia della sorte, della sua pipa, quella che lo caratterizzava e che lo aiutava in tutte le sue numerose indagini. Un incipit perciò con una sottile ironia, caratteristica che si ripresenta durante tutto il film.
La seconda figura che viene presentata è la ragazza attorno alla quale ruota tutta la torbida vicenda, una bellissima, dolce, giovane fanciulla, che si sta provando un elegante abito bianco, raffinato e costoso, accessori compresi; sembra andare a un appuntamento importante, qualcuno la sta aspettando, ma è confusa, spaesata. Dopo varie vicende verrà trovata morta, in mezzo a una strada; le sono state inferte numerose coltellate. Ma chi è la ragazza? Non lo sappiamo, non ha documenti, sembra venire dal nulla, un mistero. Cominciano le ricerche e lentamente si ricompone un puzzle che sembrava impossibile da risolvere anche a causa dei continui vicoli ciechi. Un’altra ragazza semplice e forse ingenua, venuta dalla provincia, aiuterà Maigret a districare la matassa che lentamente si dipana davanti agli occhi dello spettatore incredulo che rimane stupito da un finale inaspettato. In un gioco continuo di luci e ombre, Leconte presenta un commissario lento, riflessivo, sofferente e malinconico, come se non avesse più voglia di nulla, il suo abito scuro è una rigida armatura; nonostante ciò la sua mente è attiva, osserva e registra tutto, assorbe la realtà che lo circonda, lavora molto, segue il caso con entusiasmo. Alla domanda Cosa fa per far parlare i sospettati? Risponde Niente, li ascolto. Ascoltare, riflettere e provare a capire, una serie di azioni che sembrano mancare nella nostra frenetica società, quella dei social, delle immagini, dei messaggini e degli emoji. I dialoghi sono profondi, poetici e letterari, spesso il regista inquadra i due attori di profilo, come se le due personalità si stessero mettendo a confronto, tecnica più volte usata, ma che ricorda il suo capolavoro, L’uomo del treno; i personaggi nascondono verità recondite, segreti indicibili, mentono, non collaborano, sono sfuggenti. La storia presenta digressioni brevi, ma di elevato spessore umano come quella del tappezziere di Vilnius, personaggio che si confessa al protagonista il quale comprende perfettamente il dramma che ha vissuto, immedesimandosi immediatamente. Ci creiamo una corazza, forte e resistente poi un giorno, un particolare, un indizio e le certezze si sgretolano, con queste parole il saggio commissario sembra commentare il caso ma anche la vita stessa.