di Chiara Marini

PISTOIA. Non so se sono impopolare, ma non ho mai creduto che sarebbe andato tutto bene. Ma tutto bene cosa? Andatelo a dire a quelli cui il virus coronato ha portato via in pochi giorni uno, due o anche tre familiari senza nemmeno concedere il tempo di un’ultima carezza. Un virus spietato, che ha stravolto gli equilibri, ha messo tutti ai domiciliari, ci ha allineati come ‘a livella di decurtisiana memoria. E sono impopolare forse anche se dico che alla fine di tutta questa baraonda, alla fine di tutti questi blocchi, distanze, alla fine di tutti questi morti, poco o nulla ci resterà in eredità. Fratellanza, senso civico, solidarietà; fidatevi: passata la paura, tutto tornerà come prima, o anche peggio. Passata la fifa che ci fa cercare consolatorie alleanze, rassicuranti coesioni che non si sa mai, ognuno tornerà ai propri piccoli o grandi egoismi, e forse anzi si scatenerà una caccia alle streghe per scoprire di chi è stata la colpa di questo disastro, si faranno le pulci a chi ha preso o non ha preso decisioni, si faranno inanellate ipotesi di serendipity, se, se e se invece. Credo davvero che andrà così perché siamo discoli e la lezione non ci basta mai.

Sì, certo, qualcuno continuerà a portare torte casalinghe ai vicini poveri e anziani, a fare la spesa a chi non ne ha la possibilità, ma magari lo faceva anche prima e non faceva notizia. Resterà mi auguro la gloria dei medici, personale sanitario e volontari, la loro abnegazione, le loro lacrime così umane, i loro visi segnati da doppi turni di mascherine, saranno i nostri pompieri dell’11 settembre, resteranno per sempre nel nostro immaginario come i martiri che non si sono tirati indietro davanti a una realtà più grossa di loro, di tutti noi, e che ci spaventa moltissimo. Spero che continueremo a celebrarli e a ricordarli come a New York fanno con i ragazzi del NYFD, che dopo venti anni sono ancora su gadget e magliette, e sono tuttora festeggiati e guardati con gratitudine, spero per sempre. Ma io, da sempre mezzopienista, nel senso del bicchiere, nonostante questa magra eredità che credo fermamente il coronavirus ci lascerà, non riesco a essere completamente drammatica. Vivo questa quarantena come il sabato del villaggio, non vedo l’ora di essere al 4 maggio, ho fatto una wishing list di cose semplicissime, tipo andare a trovare un’amica che non vedo da tempo, stendermi su un prato se lo trovo, portare la mia mamma al mare, che dal 9 marzo vedo dal vetro dell’ascensore sul pianerottolo quando le porto la spesa, cose banali che assumono in questo clima di divieto una valenza insospettata. Fin dall’inizio di questo isolamento ho deciso, invece di fare un countdown a data da destinarsi, di concentrarmi sul DOPO, e ha funzionato. Ha funzionato per distrarmi dal dramma che mi poteva distruggere psicologicamente, e per passare meglio le mie giornate silenziose, senza ritmo, di lavoro isolato. E non è che sottovaluto il problemone, poiché ad esempio, proprio ora che sto scrivendo, ho un caro amico medico in terapia intensiva dal 16 marzo, intubato, sedato, poi stubato, reintubato da dieci giorni, con mille e una complicazioni sopravvenute, se ce n’era bisogno. E non so se lo rivedrò e non lo sa nemmeno la sua moglie dolcissima, e nemmeno la figlia che lo adora. So di che si parla, credetemi. Ma la mia natura mi porta da sempre a vedere più in là, a cercare di scorgere oltre la magagna, concentrandomi su un tempo più felice. Troppe persone sono morte in un tempo troppo breve, troppo crudele la modalità di sottrazione degli affetti, troppo pesanti le ripercussioni certe sui lavoratori e sul mondo economico, su tutti quegli aspetti che quelli bravi stanno valutando auspico con perizia. E quindi io VOGLIO vedere oltre, e spero che anche chi ha sofferto assai più di me in questa situazione riesca piano piano a fare lo sesso, perché pensare a giorni più normali, più sereni, può consolare almeno un momento nelle nostre ore faticose. E credo quindi che non è andato tutto bene proprio per niente, ma che supereremo tutto, andremo avanti, come il mondo da sempre fa, per nostra fortuna, qualcuno interiormente arricchito, parecchi no, ma ci proteggeremo come potremo fino al vaccino, che arriverà, regaleremo mascherine griffate per Natale al posto delle sciarpe, la paura perderà spessore, gli ingranaggi si rimetteranno a poco a poco a girare, occorreranno altri mesi, ma alcuni sono passati e si è visto che ci si può fare no? E non penso affatto, come ho letto in rete in queste settimane, che questa pandemia è il risultato, quasi la giusta punizione per tutti noi, per aver trascurato il pianeta, snobbato la natura, stressato l’ecosistema. Non lo penso perché nessuno si merita il COVID19, e men che meno l’uomo, che oltre a tante boiate, resta autore di cose meravigliose. Che i nostri medici sopravvissuti e morti se lo meritavano il virus? Se lo meritavano gli infermieri distrutti che dal 9 marzo non abbracciano i propri bambini? Direi di no. È che anche io continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo, come Anna Frank, che pure di cose brutte ne aveva viste, ma se la speranza non aveva abbandonato lei, mi sento legittimata a trattenerla ferocemente anche io fino alla prossima mazzata. Coltiviamo la speranza, specialmente quando qualcosa o qualcuno tenta con tanto accanimento di spazzare via tutto, continuiamo a pensare positivo perché a farlo quando tutto va bene son tutti buoni.  

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