di Simona Messina
ROMA. A dicembre sembrava che in Cina fosse scoppiata un’epidemia di influenza particolarmente contagiosa, forse in qualche modo figlia della cosiddetta SARS. Si presentava con sintomi lievi, ma sotto particolari circostanze, poteva trasformarsi in polmonite acuta e i pazienti dovevano essere ricoverati in terapia intensiva. Il 31 dicembre scorso le autorità sanitarie cinesi hanno comunicato la notizia di un focolaio di sindrome influenzale, associata a polmonite, di origine sconosciuta, verificatosi nella città di Wu Han, da qualche parte alla confluenza tra il Fiume Azzurro e il Fiume Han, a migliaia di chilometri di distanza dalle metropoli Pechino e Hong Kong. Si è cominciato a dire che l’origine del contagio fosse dovuta all’abitudine di commercializzare animali vivi (il cosiddetto wet market) nei mercati cinesi e particolarmente a Huanan nel centro cittadino. Già il 7 gennaio i Cinesi hanno potuto isolare l’agente patogeno responsabile dell’epidemia: pare si tratti di un nuovo betacoronavirus (qualsiasi cosa significhi), che il WHO ha inizialmente denominato 2019-nCoV e che verso il 10 febbraio è stato rinominato definitivamente SARS-CoV-2, avendo attestato la parentela con il terribile virus della SARS, responsabile tra il 2002 e il 2003 di una pandemia in Asia con oltre 8000 casi di contagio e quasi 800 decessi.
Il 18 febbraio scorso l’epidemia è deflagrata in Italia, precisamente a Codogno, un piccolo comune della Lombardia e così è iniziato l’incubo che stiamo vivendo adesso, proprio a casa nostra e non in un luogo che non siamo in grado di situare nella carta geografica, emergenza nazionale per la prima volta nella vita di intere generazioni, come nel mio caso. I coronavirus hanno una caratteristica forma sferica, con delle escrescenze regolari, che li fanno somigliare a delle festose decorazioni natalizie. Invece sono una famiglia di virus responsabili di una grande varietà di infezioni negli esseri umani e nei mammiferi in generale, con una vasta gamma di manifestazioni cliniche, da semplici raffreddori a sindromi respiratori acute gravi (SARS) fino all’attuale polmonite fulminante, ormai nota come COVID-19. Mai, mai fidarsi delle apparenze. Abbiamo imparato nuove parole dal sapore tecnico-specialistico. Mi ha colpito Droplet: vuol dire più o meno che il contagio si diffonde veloce attraverso l’aria in forma di una nebbiolina fatta di minuscole goccioline acquose, espulse ogni volta che qualche appestato, che magari non sa neanche di esserlo, tossisce o stranutisce. Mi vengono in mente almeno altri due casi terribili di droplet: nella guerra del Vietnam, intorno alla seconda metà degli anni ‘60, in aggiunta al più noto Napalm, furono sganciate tonnellate di un defoliante noto come Agent Orange di cui i sopravvissuti ricordarono a lungo il piacevole aroma di arancia che si sprigionava subito dopo gli attacchi, mentre rilasciava il micidiale veleno sotto forma di una pioggerellina gentile che distruggeva la vegetazione, contaminava i fiumi ed entrava nella catena alimentare, disarticolando inesorabilmente le future sequenze elicoidali del DNA degli esseri viventi, ipotecandone il futuro. Oppure certi gas sganciati in Abissinia, in cui apparentemente l’esplosione non aveva conseguenze tranne una pioggerellina sottile. Le vittime (pastori, contadini, bambini e animali) credevano di averla fatta franca, magari l’ordigno non aveva funzionato. Solo qualche ora dopo il gas rimasto sulla pelle a contatto con l’aria avrebbe sprigionato il suo terrificante effetto letale. (Naturalmente non è un mio ricordo, l’ho trovato nel bel libro I Fantasmi dell’Impero (2017). Ma quelle erano sostanze deliberatamente create in laboratorio per fare il massimo danno sulle proprie vittime. La Peste no, quella è un’altra storia. La peste bubbonica, la Pestis atra, assolutamente atroce, che ha flagellato l’Europa e l’Asia fino alle soglie del XX secolo; una presenza oscura, un flagello pre-moderno con un repertorio immaginifico raccapricciante e sanguigno, fatto di bubboni purulenti, pulci di ratti, talismani magici e le figure lugubri dei monatti con i loro nasi di cartapesta lunghi e adunchi come il becco di uccelli notturni, gli unici autorizzati a toccare i morti.
Ring a Ring of Roses
A Pocketful of Posies
Atishoo, Atishoo,
We All fall Down
(provo a tradurre: Fai un anello di rose, riempi le tasche con mazzetti di erbe aromatiche, ma se anche solo uno starnutisce, moriremo tutti). Questa filastrocca credo di averla sentita la prima volta da ragazzina, nei lontani anni ‘80, al London Dungeon, il sinistro museo dei sotterranei di Londra dove erano riproposti con un gran senso teatrale (almeno così mi sembrò all’epoca) i più sinistri eventi accaduti nella storia della città. Nonostante i diamanti, le zampe di lepre, le erbe aromatiche, gli olii essenziali e le pratiche magiche, per secoli non è stato possibile curare i malati, finché sono comparsi gli antibiotici e la peste ha perso potere fino a sparire dal mondo a noi noto, fattucchiera malvagia, insieme agli altri esseri meravigliosi che popolavano la fantasia popolare. Oggi, nell’epoca della Tecnica e della Globalizzazione, anche le pandemie, sebbene letali come questo CoVid-19, sono pulite e democratiche: le epidemie di peste dei secoli passati difficilmente raggiungevano le case ricche, più pulite e ben difese dai ratti; oggi invece il fiato del contagio viaggia in aereo, magari in bussiness class e colpisce ogni sorta di vip e di uomini politici. Uomini, perché pare che le donne, così come i bambini, i cani e i gatti, tendano a non ammalarsi. Ieri come oggi, però, ogni pestilenza è preceduta da segni. Aprés les dérèglements des saisons en leur qualitez, comme quand l’hiver est chaud, au lieu d’être froid; l’été frais, au lieu d’être chaud, et ainsi du printemps, et l’automne, car cette grande inégalité monstre une mauvaise constitution, et des astres, et de l’air… (provo a tradurre: Dopo lo scombussolamento delle stagioni e dei loro attributi, come quando l’inverno è caldo invece di essere freddo; l’estate è fresca invece di essere calda e lo stesso dicasi della primavera e dell’autunno, per cui questa grande confusione tradisce una cattiva costituzione degli astri come dell’aria…) Purtroppo il corsivo non è mio. L’ho copiato dalla mia amata Fred Vargas, nel suo Part vite et reviens tard, (2001). Lei dice di averlo tratto da Avicenna, Liber Canonis. Qualche settimana fa, al mattino presto, ho trovato un ratto morto al centro del lastricato del mio piccolo giardino. Aveva il muso contorto in una smorfia dolente e una profonda ferita ancora rossa sulla testa. Forse, ferito da una cornacchia che non è riuscita a catturarlo, è venuto a morire in un posto tranquillo. Più avanti, sempre Fred Vargas: Et puis, quand les serpents, chauve-souris, blaireaux et tous les animaux qui vivent dans la profondeur des galeries souterraines sortent en masse dans les champs et abandonnent leur habitat naturel; quand les plantes à fruits et les légumineuses se mettent à pourrir et à se remplir de vers… (provo a tradurre: E poi, quando serpenti, pipistrelli, blatte e tutte le bestiole che vivono nelle profondità sotterranee escono in massa nei campi, abbandonando i loro habitat naturali; quando le piante da frutto e le leguminose cominciano a marcire e a riempirsi di vermi…). Avverto un brivido freddo lungo la schiena. Sciami di locuste a partire dalla metà di febbraio stanno devastando pascoli e coltivazioni in Africa Orientale e in Medio Oriente.