di Francesca Infante
CALENZANO (FI). Quaranta giorni in tutto. È iniziato da tre ore e diciotto minuti il 20 marzo 2020, l'undicesimo giorno, e io mi trovo a scrivere. Undici sono i giorni che il mio account Netflix mi vede connessa. Un numero imprecisato, sono le sigarette che ho fumato. Dopo aver guardato, in ordine cronologico: Orecchie (che vi consiglio come antidoto alla tristezza); puntate sparse di How I Met Your Mother; The Stranger; Russian Doll; Kill Bill Vol. 1 e 2 ( il Vol. 1 con doppia visione consecutiva); aver iniziato qualche orribile commedia romantica consigliata da Netflix (che, per inciso, ogni mattina, mi manda una notifica di buongiorno, ricordandomi di riprendere quelle duemila serie iniziate e mai finite), aver riletto metà del mio libro preferito (Dieci piccoli indiani della splendida Agatha Christie), la notte dell'undicesimo giorno (ormai alle ore 3:25), mi trovo a scrivere, per cercare di prendere sonno.
Nonostante abbia cercato di anestetizzare i miei neuroni, con una quantità spropositata di Sit-com, la notte dell'undicesimo giorno di quarantena, il cervello, esce da quell'anestesia totale in cui l'avevo mandato e comincia a elaborare pensieri non autorizzati. I primi che balzano fuori sono quelli ormai calcificati nella mente, grazie alle ricorrenti notizie: Quanto ancora dovremo stare chiusi? Usciremo davvero il 18 aprile o rimanderanno ancora? Per quanto durerà questo incubo? Il nostro sistema sanitario riuscirà a resistere? Perché cazzo la gente va a spasso fuori con una pandemia in corso? Ci sono più imbecilli di quanto credessi? Poi però, constatato che non c'è fine alla scemenza, ne escono fuori molti altri, che erano anestetizzati da molto più tempo: ho quasi ventisei anni, cosa riuscirò a fare davvero? Mi sentirò mai realizzata in ciò che voglio? Non avevo un lavoro stabile prima, dopo cosa mi aspetta? E se non riuscissi ad andare ad abitare da sola? E se non dovessi diventare mai indipendente? Non voglio finire a fare un lavoro che non amo. E se non mi dovessi mai sentire appagata davvero? Cosa succederebbe di conseguenza? E questi pensieri, non aiutano a conciliare il sonno. Ma vederli scritti aiuta. Aiuta sapere che, da qualche parte, c'è chi fa Yoga, chi segue lezioni online, chi impara una lingua, chi si dedica alla sua passione, chi restaura la propria camera, chi ancora lavora o chi porta a passeggio il cane, sempre per anestetizzare quei pensieri, ma che sai per certo attraversino anche loro. E aiuta sapere che non sei solo in questo. Ormai sono le 3:39, sempre di questo orribile undicesimo giorno, che ancora deve iniziare e io non so più che cosa guardare su Netflix.