di Alagia Scardigli

SIAMO A BALTIMORA, nel 1962, in un mondo passato, ombroso, color verde acido, con vestiti e macchine retrò, ma ancora legato a quel senso di meraviglia di fronte al cinema e alla musica, al ballo e alle torte. The Shape of Water è il nuovo film di Guillermo del Toro che strizza l’occhio ai fan di Lovecraft, E.T. e a quelli del Favoloso mondo di Amelie. Elisa Esposito, interpretata da Sally Hawkins, è la Principessa senza voce, una donna delle pulizie, orfana e muta (il suo mutismo non sembra essere solo una condizione fisica, ma anche psicologica, come rinuncia alla vita vera, protesta contro la meccanicità della vita ridotta a mero lavoro, esattamente come Serafino Gubbio operatore), che riuscirà, unica, a stabilire un contatto con l’uomo anfibio – Doug Jones –, una creatura metà umana e metà animale, un dio simile a Chtuluh o Nyarlathotep, per intendersi tra lettori lovecraftiani, ma senza alcuna caratteristica realmente paurosa. L’uomo anfibio è infatti un essere buono al 100%, semmai ancora selvaggio, ma dotato di gentilezza e poteri magici, sensibilità e intelligenza, tenuto nascosto e maltrattato in un laboratorio governativo, che lo vuole utilizzare come strumento competitivo per la corsa allo spazio contro la nemica Russia.

L’addetta alle pulizie, nel suo mutismo e nella sua umiltà, riesce a comprendere, sola, l’uomo anfibio, al quale insegna il linguaggio dei segni; e lo riesce a salvare da morte certa rubandolo dalle mani del colonnello Strickland, Michael Shannon, per portarlo in casa propria, nella vasca da bagno, essendo per metà anfibio. Tra l’essere e la ragazza si crea una storia d’amore basata sui gesti (quelli del corpo, quelli abitudinali, come condividere il pranzo, ascoltare la musica insieme, ballare), che va quindi al di là della lingua, della loro provenienza; e i pochi amici di Elisa faranno di tutto per aiutare i due innamorati a vivere serenamente. Ma, com’è ovvio che sia, Strickland – il capitalismo fatto a persona - cercherà di interporsi per sfruttare al massimo questo Dio misterioso e fargli del male, fregandosene dei sentimenti e dei diritti legati a Elisa e alla creatura. Una favola bellissima, fluente; due ore che scorrono come un sogno, che appena finita vorremmo riguardare da capo, con un mood malinconico (la colonna sonora, gli arredamenti, l’abbigliamento…) e dolcissimo che ricorda tanto quello di Amèlie Poulain, con cui Elisa condivide una sensibilità fuori dalla media e una dolcezza incompresa, da cui deriva la loro condizione di outsiders, come il titolo di un celebre racconto di Lovecraft. La creatura marina è anch’essa estranea a tutto e a tutti, emarginata dal mondo e unica nel suo genere, ed è specchio della situazione in cui vive Elisa, in cui vive ognuno di noi fino a quando non trova qualcuno che ci comprenda; per questo il protagonista maschile non ha un nome: può essere chiunque. L’uomo anfibio è l’essere umano che perde la sua personalità (essendo senza nome, appunto) e la sua umanità di fronte alle leggi del mercato, del potere, del capitalismo; è la persona che vive dall’altra parte del mondo che non consideriamo come noi fino a quando non ne conosciamo il dolore e non ne condividiamo la sofferenza. È l’evoluzione di E.T., che non viene da un altro pianeta, ma che vive già qui con noi, ma che non riusciamo a tollerare, e che le anime più pure (perché non corrotte dai soldi, dal consumismo, dalla guerra) riusciranno a comprendere e ad amare, non solo come amico (nel caso dell’extraterrestre ed Elliot), ma addirittura come amante. È lo step evolutivo di qualsiasi nemico straniero, di qualsiasi Alien o Predator, che non è sulla Terra per ucciderci, ma per amarci e aiutarci. La storia d’amore tra lui ed Elisa non è semplicemente passione, ma innanzi tutto comprensione e tolleranza; la loro forza sta nel fatto che non hanno nemmeno bisogno di parlare per comprendersi, perché a loro basta riconoscersi dallo sguardo, dalle loro abitudini. Elisa è una semplice donna delle pulizie, ma che acquisisce forza e personalità dai gesti che compie, e trova il coraggio di agire grazie all’amore che smuove ogni cosa. Un film ricco di insegnamenti senza mai risultare pesante, abbondante nelle battute e nei momenti di tenerezza, e neanche un istante in cui ci si potrebbe annoiare. Magico per le sensazioni che trasmette; ma realistico per la lezione che ne possiamo trarre; fantasy per l’uomo anfibio (che piacerà ai fan di Alien e Predator, e agli stessi fan di Del Toro), drammatico per il nemico – il capitalismo? – che non possiamo estirpare, se non con l’amore; comico per i personaggi-macchietta (la collega afroamericana Zelda, l’inquilino gay Giles) e un capolavoro per tutte queste caratteristiche fuse insieme, in un perfetto mix che va assolutamente visto.

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