di Marcello Bugiani
Lavoro complesso, di non facile lettura, Il Cliente di Asghar Farhadi. La vicenda ruota intorno a due protagonisti assoluti, Emad e Rana, giovane coppia impegnata culturalmente in una Teheran che pare sgretolarsi intorno a loro; marito e moglie fanno coppia anche a teatro, portando in scena Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller. Il dramma, che faticosamente la compagnia sta allestendo in uno scalcinato teatro di Teheran, sembra offrirci una chiave di lettura per seguire la vicenda dei due coniugi. Se Miller ha dato forma al fallimento della società dei consumi occidentale nel secondo dopoguerra attraverso il feroce ritratto della famiglia-tipo americana, il film di Farhadi percorre con dolore il disfacimento di quel che resta e di quel che sarebbe potuto diventare l'Iran moderno.
Il film si apre con i coniugi costretti ad abbandonare la loro casa perché l'intero palazzo condominiale sta crollando a causa di non meglio precisati lavori nell'area adiacente: ma non c'è protesta, non c'è ribellione verso gli ignoti distruttori; tutto sembra far parte di un destino ineludibile al quale non resta che sottrarsi attraverso la fuga, quindi la resa. Emad e Rana trovano alloggio in un appartamento da poco liberatosi, di proprietà di un amico attore; in questa casa aleggia ancora la presenza della ex inquilina, sia per la cattiva fama che si era procurata tra i vicini, che per gli arredi lasciati chiusi in una stanza. Una sera in cui Rana aveva preceduto a casa il rientro del marito dopo la recita in teatro, accade un evento drammatico: la giovane donna viene aggredita in bagno da uno sconosciuto, probabilmente un cliente della ex inquilina. Per Emad la ricerca dell'autore della violenza sulla moglie diventa un'ossessione, mentre il resto della famiglia, gli amici, Rana stessa, tentano di ridurre la portata dell'accaduto. L'improvvisa sterzata drammatica del film ne alza notevolmente il livello qualitativo, grazie alla bravura dei due protagonisti e alla lezione del noir francese d'autore, stile Chabrol, che Farhadi dimostra di aver assimilato e saper maneggiare con cura. Comincia a incrinarsi infatti la solidità della coppia, messa a dura prova da un inatteso clima di sfiducia reciproca e da un crescendo di tensioni. Ne fanno le spese anche i rapporti con gli altri familiari e, soprattutto, le dinamiche interne alla compagnia teatrale. Insomma, dopo il crollo dei palazzi, va in scena anche il crollo dei rapporti umani, complice il deterioramento morale di un Paese sempre in bilico tra modernità agognata e un passato pesante e impossibile da lasciare alle spalle. La vicenda finale che vede protagonista finalmente il cliente, ovvero il presunto aggressore, riassume in pieno le contraddizioni della società iraniana e l'ipocrisia dei rapporti interni al totem famiglia. Ed è qui che Farhadi porta il suo film a ritrovare il solco tracciato dal Commesso Viaggiatore, come ad unire attraverso un filo ideale società così profondamente diverse tra loro, le quali hanno visto transitare il treno di una libertà piena, ma che non sono state capaci di restarvi aggrappate dopo essere riuscite a saltarci sopra. Complessivamente il film appare un passetto indietro rispetto ai due precedenti lavori di Asghar Farhadi, Una Separazione e Il Passato; pesa nel giudizio la prima parte della pellicola, troppo leziosa e particolarmente lenta. Alcuni dettagli di conversazioni potevano essere risparmiati allo spettatore senza pregiudicare la comprensibilità delle scene. Restano in sospeso anche alcuni interrogativi che la vicenda drammatica dell'aggressione lascia (volutamente?) irrisolti, a partire dall'atteggiamento di Rana, donna apparentemente emancipata che, dopo l'aggressione, si chiude a riccio complicando anche la ricerca della verità che il marito, da solo, si ostina a perseguire. Il Cliente ha vinto all'ultimo Festival di Cannes il premio per la miglior sceneggiatura. I premi, si sa, sono sempre da mettere in relazione con il parterre dei concorrenti. Niente da dire, comunque, sull'impianto dell'opera, sicuramente ben strutturato; casomai non credo abbia giovato al film, nella versione italiana, qualche doppiaggio un po' surreale, forse dovuto alla necessità di distinguere il modo di parlare di alcuni attori: un interrogativo che potremmo sciogliere soltanto con la visione del film in lingua originale, come sarebbe sempre sacrosanto poter fare.