di Catia Zanella
Bastano gli ideogrammi iniziali, campiti come quadri, assieme all’essenziale prologo in bianco e nero, per essere totalmente trasportati in una Cina (siamo nella Mongolia centrale) antica di maestre e allieve, splendori e congiure, spade giustiziere e leggerezza del volo delle farfalle, fra la natura immutabile e incontaminata e la tristezza della natura umana in continuo divenire. Siamo al cinema, naturalmente, ad assistere ad un altro silente capolavoro, The assassin, di Hou Hsiao-hsien (sessantanovenne regista cinese, naturalizzato a Taiwan, vincitore, al 68° Festival di Cannes come miglior regia – ha vinto anche la colonna sonora, di The Assassin), ambientato in una provincia cinese nell’ottavo secolo fra congiure interne e minacce esterne, sotterfugi politici e familiari.
Un membro della famiglia regnante Tiang, la giovane Ynniang (Shu Qi), verrà consegnata a una sacerdotessa che opera per l’impero e che la istruirà sulle arti marziali. Le verrà poi richiesto di uccidere i governatori dissidenti fra cui l’antico promesso sposo. La consegna alla sacerdotessa, da parte della famiglia d’origine, è stata dettata anche dalla necessità di sottrarla ai poteri della concubina che ha partorito per il padre della giovane Ynniang un figlio maschio, dopo che la madre era venuta a mancare. Alla giovane è subito richiesto di esercitare il suo ruolo di sicario e ammazzare un primo esponente politico; poi un altro. Ma la ragazza non esegue più il secondo ordine, e nemmeno quello successivo di eliminare colui che in un primo momento sarebbe dovuto diventare suo marito. La ribellione di lei si allinea al fermento delle province di sottrarsi al potere centrale che ‘comanda senza il sostegno popolare’, e il ricordo della madre che le cantava con la cetra la storia dello scialia, il volatile del re, che cantò la sua tristezza, ma ballò fino alla dipartita, sembrano essere il suo nuovo stimolo di vita, da quando tornerà alla sua famiglia d’origine dopo diversi anni e nella quale, dopo vari avvicendamenti, inizierà il suo personale cammino. Il film è intenso di emozioni, aiutate dalla lentezza e dai pochi, ma densi dialoghi. E’ una delizia per gli occhi: ogni inquadratura è armonicamente composta e ricca di particolari che si cerca di non farsi sfuggire: la vasca di legno profumato, la composizione con le melagrane, i tessuti e le stoffe, piccole statuette, intarsi di legno, specchietti dorati, piccoli e grandi candelabri. L’eleganza e la raffinatezza regnano sovrane e la storia antica, attraverso cicli e ricicli della trama stessa, torna moderna, come la ricerca di se stessi e della libertà in armonia col tutto.