Un altro film fotocopia, un altro capolavoro. Kenneth Loach non ha ancora minimamente perso lo smalto e la lucidità della denuncia, men che mai la rettitudine della sua rabbia e anche la sua ultima pellicola, Io, Daniel Blake, Palma d’oro a Cannes e Premio della Giuria a Locarno, è una nuova istigazione alla rivolta proletaria, stavolta nei panni di un carpentiere, Daniel Blake (Dave Johns), che alla soglia dei sessant’anni non può più lavorare, in seguito ad un infarto, ma non può neanche godere del sussidio di sostentamento per malattia perché la commissione medica inglese non gli riconosce i dovuti punteggi d’infermità.
Vedovo, trova comprensione, compagnia e solidarietà in una giovane donna, Daisy (Hayley Squires), che sfrattata da Londra e senza lavoro, con i suoi due figli, rappresenterà una ragione per sentirsi ancora utile alla causa umana e un monito a non arrendersi. La telecamera è lì, nel bel mezzo del dolore e della solitudine; nessuna colonna sonora a ritmare e scandire i giorni tutti uguali in una Newcastle umida, piovosa, anonima, sorda. Il capitalismo, che prende la forma dell’informatizzazione, anche lì, ha ormai preso il sopravvento e l’anonimato è più che mai selvaggio. Alle ristrettezze economiche dei personaggi fanno inoltre da cassa di amplificazione i minimalismi scenici, cromatici, l'assenza totale di effetti, angolazioni strategiche, confidando però in una fotografia sontuosa e in un'imponente dose d'amore, quello puro e irripetibile nutrito verso la compagna e quello disinteressato e patrno nei confronti di una donna molto più giovane. Daniel Blake, infatti, nonostante le avversità, è fortemente intenzionato a non mollare e studia parecchi stratagemmi per riuscire a essere nuovamente considerato come un cittadino attivo, anche se l’età, le precarie condizioni di salute e l’analfabetismo informatico non fanno che escluderlo dalla ruota della produzione e della considerazione. Un film importante, un film doloroso, crudo, che non ci ha risparmiato dolore, rabbia, impotenza e lacrime, un’altra pellicola/accusa alla società e al suo cinico e sadico sistema di sostentamento, un nuovo manifesto scritto da uno degli ultimi registi - purtroppo sempre più vecchio - ai quali, per fortuna, è stata data in dono la coscienza comunista che incita alla dignità.