di Caterina Fochi
Due facce, tre storie, un solo amore. Tihana Lazovic e Goran Markovic sono i bravissimi interpreti dei tre episodi di Sole Alto, il film del regista croato Dalibor Matanic, vincitore del Premio della Giuria Un Certain Regard a Cannes 2015. Il primo episodio si svolge nel 1991. Jelena e Ivan si amano e stanno per trasferirsi a Zagabria dove sognano di iniziare una nuova vita insieme. Lei è serba, lui croato e i primi segnali dell’odio etnico tra i due popoli segneranno il loro destino come una drammatica premonizione. Il secondo, con un salto temporale di dieci anni, ci porta nel 2001. La guerra che ha insanguinato i Balcani è finita, ma le ferite sono ancora tragicamente aperte.
Il ritorno alla vita tra le macerie è difficile e doloroso. Il carpentiere Ante si innamora della giovane Natasa ritornata al suo paese con la morte nel cuore, ma il passato è ancora troppo vicino per entrambi e la ricostruzione delle reciproche identità non sarà così semplice come quella di una casa. L’ultimo è ambientato nel 2011. Il conflitto tra serbi e croati è, per fortuna, un ricordo lontano nella storia, ma non nelle coscienze, che ancora alimentate dal rancore faticano a ritrovare la fiducia. Luka frequenta l’università a Zagabria, va in vacanza a Spalato, partecipa ai rave party dove droga e techno sono il passaporto per la normalità, ma il dolore vissuto è ancora annidato negli animi e si esprime nella diffidenza della famiglia di origine che ostacola il futuro del giovane croato con Marija, la ragazza serba madre di suo figlio. Ma venti anni di morte e sofferenza sono un prezzo che non merita una resa. Così, dopo lo sballo raccontato con la splendida sequenza notturna del rave alternata al silenzio del tuffo nel lago, finalmente arriva l’alba: il sole risorge e salendo alto verso lo zenit riporta la speranza. Tre storie d’amore in un paese tra un ragazzo e una ragazza divisi dall’etnia che nell’arco di venti anni attraversano l’odio, la guerra e i pregiudizi accompagnati dalla luce dello stesso sole che prima illude poi incoraggia e infine squarcia le oscure e fitte coltri di nubi per illuminare le speranze di un futuro possibile solo se riscaldato dalla forza dell’amore. Matanic compone un film che pur riproponendo l’archetipo shakespeariano riesce a essere profondo e mai scontato e celebra con sensibilità l’altruismo, esaltando il meglio della natura umana, quella che lotta per emergere da un mondo che troppo spesso e troppo facilmente si lascia dominare da pulsioni oscure e violente e che, in un periodo in cui l’intolleranza sembra dominare le dinamiche mondiali, ci lascia con una speranza, ricordandoci che è ancora possibile guardare alla realtà in un modo diverso.