di Caterina Fochi

Questo viaggio con Janis corre su due binari, da una parte un treno sempre in movimento che sfreccia attraverso la folgorante e breve carriera della rockstar, dall’altra la lettura delle sue più intime lettere indirizzate agli affetti più cari che ci conduce, con emozione, verso il cuore di questa donna complessa e straordinaria che per prima ha piantato la bandiera delle donne nel mondo del rock.

 

Il documentario di Amy Berg non solo ci racconta la vita da film di Janis Joplin, ma colma finalmente un vuoto impressionante e ci restituisce un ritratto dell’artista con il massimo del rispetto e con un po’ di giustizia che andava fatta. Non avevamo certo bisogno della controprova del suo straordinario talento o della sua potente, lacerante, ruvida voce, ma era opportuno riscoprire la dimensione umana e tragica del mito. Scopriamo quindi una ragazzina di Port Arthur in Texas che vuole sentirsi bella e femminile come tutte le sue compagne adolescenti, che vuole soprattutto sentirsi accettata e amata e che insaziabilmente cercherà l’approvazione di chiunque per tutta la vita.

Poi l’ascesa troppo veloce che non le lascerà il tempo di superare le insicurezze nate dalla paura di non farcela, di non essere abbastanza brava, di non rispecchiare le aspettative che il pubblico ha per lei, il desiderio ossessivo di riscatto, il terrore di perdere l’amore e la stima della famiglia che crede di avere profondamente deluso. Nonostante tutte le ferite inferte alla sua sensibilità priva di filtri, resterà comunque incapace di tradirsi, non potrà fare a meno di perseguire la verità di se stessa così come mai desisterà dalla ricerca del grande amore, quello vero che, per la gioia e la soddisfazione dei genitori, la porterà all’altare e solennemente le prometterà di “amarla e rispettarla finché morti non ci separi”.

Le illusioni si alterneranno alle delusioni e a lei non resterà che esorcizzare l’amarezza e il dolore sul palcoscenico per ritrovare nel suo pubblico quella passione e quell’amore che la vita le nega. Viaggia il mondo passando da un tour all’altro, ma finiti i concerti, sarà sempre e soltanto la solitudine l’unica complice che la riaccompagnerà nelle fredde stanze degli hotel dove alcool e droga saranno l’unico supporto alla sua fragilità. Arrivati alla fine di questo viaggio è la stessa Janis che ci esorta ad ”alzare il sedere e sentire le cose” ma non è così semplice abbandonarla perché questo intenso documentario ci commuove fino all’ultimo svelandoci che solo il giorno dopo la sua morte il suo grande sogno si realizzerà con l’arrivo, troppo tardi, alla reception dell’hotel dove viene ritrovata ormai priva di vita di un insperato telegramma che forse avrebbe potuto cambiare il suo destino e lasciare al mondo ancora per un po’ l’energia della sua potente voce e del suo travolgente talento.

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